Ciao avventore, stai leggendo “sostenibilità in pillole”, una piccola rubrica destinata a riassumere nel modo piú chiaro possibile tutte le principali questioni legate al tema della moda sostenibile. Questa rubrica é pensata per tutti coloro che si approcciano per la prima volta a queste tematiche e vorrebbero avere un rapido ma chiaro quadro della situazione. Gli articoli sono in costante aggiornamento ed ogni contributo é prezioso: la sostenibilitá é un percorso molto piú facile se condiviso! Se sei nuovo, inizia da qui.
In un mondo perfetto e utopistico, in cui tutto viene fatto secondo principi etici di rispetto ed equità non ci troveremmo a dover discutere di queste questioni.
Ma il mondo è tutt’altro che perfetto e i principi che lo governano non sono quelli del benessere comune di persone ed ambiente, ma quelli del potere e del profitto ad ogni costo.
E da dove proviene questo profitto così tanto anelato? Nella nostra società capitalistica il profitto è dato da un consumismo sfrenato, quindi da noi consumatori.
PRIMO PASSO = CONSAPEVOLEZZA.
Cosa significa essere consumatori consapevoli?
Il nostro ruolo di consumatori è fondamentale. Noi abbiamo i soldi in mano e rappresentiamo la fonte di guadagno dei brand. Grazie al modo in cui spendiamo possiamo decidere chi guadagna e chi no, quale modello di business funziona e quale affonda.
Ma siamo realmente noi a scegliere come spendere?
Esistono alcune discriminanti che vale la pena valutare:
INCONSAPEVOLEZZA
I consumatori sono per la stragrande maggioranza “consumatori inconsapevoli”.
Il mercato “educa” i nostri gusti e ci dice di cosa abbiamo bisogno, bombardandoci di immagini che fanno gola e ci danno la percezione che con quel prodotto la qualità della nostra vita aumenterà.
Negli anni è stato normalizzato uno stile di acquisto quasi compulsivo, le mode cambiano di continuo facendo percepire vecchio e inadeguato quello che già possediamo. Il risultato di questa dinamica è l’urgenza di comprare, frutto di un marketing ad hoc e di convenzioni sociali.
Anche tutte le sovrastrutture legate all’attività dello shopping sono state normalizzate, con la conseguenza di avere guardaroba ricolmi di abiti nonostante poi nel quotidiano finiamo per indossare sempre le solite cose.
Hai mai fatto caso a quanto tempo libero durante il giorno passiamo a riempire carrelli virtuali, per il solo gusto di farlo o spulciando i cataloghi dei nostri shop preferiti a caccia di qualcosa che ci stuzzichi?
Questo è il frutto di decenni di condizionamento.
Il nostro fine ultimo è poter acquistare. Ma dovremmo realizzare che fare acquisti non è “terapeutico”, concepirlo come un’attività ricreativa, o come uno sfizio da concedersi per sfogare altri tipi di frustrazione non risolve i nostri problemi e ci svuota il portafogli. ne ho parlato qui.
Tutti noi consumatori abbiamo il potere di scegliere secondo i nostri principi e necessità, invece che farci guidare dal mercato che ha come unico fine quello di creare nuovi bisogni e quindi nuove occasioni di vendita.
é tempo di scendere in campo per direzionare il mercato in maniera attiva, non subire più passivamente le regole dettate dalle aziende.
Il consumatore informato e attento diventa così un consumatore consapevole che attraverso le proprie abitudini di consumo finanzia e sostiene le realtà di produzione più meritevoli.
Decidiamo di rivolgere il nostro denaro in maniera non solo responsabile ma anche strategica.
Come scegliere le aziende da sostenere?
ATTENZIONE AL GREEN WASHING
Esistono diversi tipi di aziende:
- Le piccole aziende “illuminate” che nascono già con un’etica produttiva sostenibile. Avranno quindi cura nella scelta delle materie prime, dalla tipologia alla filiera, non delocalizzeranno, avranno politiche energetiche chiare sulla gestione delle emissioni ecc ece
Poi ci sono tutte le altre aziende che per anni si sono arricchite sfruttando risorse ambientali, manodopera senza diritti nei paesi più poveri del mondo, che allo stato attuale:
- o decidono di adeguarsi gradualmente a produzioni più sostenibili
- oppure decidono di usare strategie di comunicazione ingannevoli per ripulire la propria immagine per poi tingerla di verde e risultare nuovamente appetibile ad un mercato e ad una clientela sempre più attenta ed esigente.
Questo fenomeno é il cosiddetto GREEN WASHING
Il metodo più diffuso è quello del “prodotto di facciata”.
L’azienda lancia una linea di prodotti ad hoc le cui etichette, rigorosamente in cartoncino grezzo con scritte verdi e immagini di foglie, riportano diciture tipo “x% di tessuto riciclato” o “cotone proveniente da agricoltura bio”.
Informazioni vaghe o parziali, non verificabili o false vengono usate come specchietto per le allodole allo scopo di accaparrarsi una fetta di mercato sensibile ma ancora inconsapevole, mantenendo il resto della produzione invariata.
Queste aziende sfruttano letteralmente la sensibilità ambientale dei consumatori come un trend da cavalcare per rimanere sulla cresta dell’onda.
In Italia, il Green washing viene considerato pubblicità ingannevole ed è controllato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Ma nel mentre, come riconoscerlo?
Il metodo più semplice ma anche più efficacie sono le certificazioni.
Ne esistono molte e sono assegnate in base a standard etici e qualitativi differenti. Di seguito uno schema che le riassume per tipologia:
SCELTE DI ACQUISTO ALTERNATIVE
sostenibilità ad un prezzo piccolo piccolo.
POTERE DI ACQUISTO
L’altra discriminante che vale la pena valutare è il sempre più limitato potere di acquisto delle famiglie medie.
In una situazione economiche sempre più precaria dover far fronte alle spese quotidiane diventa una vera e propria impresa fatta di compromessi, prodotti scadenti e offerte al ribasso.
In questo ambiente non è assolutamente un mistero perché i grandi e-commerce del fast fashion come Shein siano diventati la prima fonte di approvvigionamento di indumenti a livello globale.
Quali alternative esistono in un periodo storico in cui i soldi a disposizione delle persone sono sempre di meno e ci si sente quasi costretti dalla necessità ad acquistare fast fashion?
IL MERCATO DEL SECOND HAND
Negli ultimi anni il mercato del second hand ha subito un’ impennata e sembra che questo incremento sia destinato a continuare anche nei prossimi anni.
Il vintage va di moda, senza dubbio, ma per molti oltre che una scelta di stile è anche un’ alternativa per acquistare in maniera consapevole.
Le abitudini di consumo stanno man mano modificandosi e se nel 2023 lo shopping di seconda mano rappresenta il 6% è destinato a sfiorare l’8% nel corso dei prossimi 2 anni.
Il prolificare di mercatini, negozi specializzati, fiere itineranti e applicazioni hanno contribuito alla rapida diffusione di questo fenomeno e al cambio di PERCEZIONE che tutti abbiamo degli oggetti usati.
Non più “scarti” riservati a chi non può permettersi l’acquisto dello stesso capo nuovo, con la conseguente stimmatizzazione sociale e vergogna, ma un acquisto intelligente, conveniente e green.
Sono inoltre un’ottima alternativa per chi riserva all’abbigliamento un budget limitato ma vorrebbe fare comunque acquisti più sostenibili.
VESTIRSI SENZA SPENDERE
SCAMBI
Anche sullo scambio esiste un mondo in continuo sviluppo. Mai sentito parlare degli “swap party”? Sono incontri in cui poter scambiare capi di abbigliamento e accessori. Esistono tanti gruppi social che organizzano periodicamente questi eventi praticamente in ogni zona, ma esistono anche delle app che hanno la stessa finalità.
PRESTITI
Consideriamo anche la possibilità di chiedere in prestito qualcosa che useremmo solo una volta (es cerimonie o eventi) o potremmo valutarne il noleggio, costa meno dell’acquisto di un abito nuovo e non ingombrerà spazio nel nostro armadio.
UPCYCLING
Rimodernare e modificare i propri capi quando sono ancora in buone condizioni è un ottimo metodo per vestirsi a costo 0, e a 0 emissioni.
Il vestito più sostenibile è sempre quello che hai già nell’armadio.
Come fare la differenza anche senza acquistare?
AZIONI UTILI DA METTERE IN PRATICA SUBITO.
Ogni percorso di cambiamento richiede tempo per essere metabolizzato e messo in pratica, ma quali sono le cose che possiamo fare fin da subito?
Usare i capi più a lungo/per più utilizzi.
Abbiamo già parlato di come sia importante acquistare meno abiti ma di buona qualità (piuttosto che tanto capi di qualità scadente) sia per una questione di sostenibilità ambientale, ma anche per avere un risparmio a lungo termine e questo discorso è strettamente legato alla durevolezza del capo nel tempo.
Per capire la validità di questo approccio è necessario parlare del CPW: “cost per wear” , ovvero il costo per utilizzo, calcolato dividendo il prezzo di un indumento per il numero delle volte in cui è stato indossato/pensiamo di poterlo usare.
Questo calcolo serve a comprendere perché pagare poco un abito che indosseremo pochissime volte non solo è dannoso per l’ambiente, ma è anche economicamente svantaggioso.
Per ammortizzare il costo di un prodotto possiamo applicare la regola dei #100wears, ovvero la possibilità di indossarlo cento e più volte. L’invito è dunque quello di comprare cose che crediamo di poter indossare almeno cento volte.
Esempio pratico:
Pantalone di un noto brand sostenibile italiano, prezzo 161 euro. Qualità alta e conseguente alta capacità di durevolezza. Investo questa cifra se veramente mi serve, mi piace e si adatta al mio corpo e al mio stile. Questo fa di lui un capo giusto per arrivare ad essere indossato per 100 volte e più. CPW minore/uguale a 1,61 euro per utilizzo.
Pantalone fast fashion che hai comprato a 25 euro “tanto per” e che hai messo 2 volte ha un cpw di 12 euro.
Tenere con cura gli abiti, rammendare all’occorrenza.
Altro modo per allungare la vita dei nostri indumenti e quindi diminuire il cpw è la manutenzione.
Gli indumenti nel corso della loro (si spera lunghissima) vita possono scucirsi, strapparsi, perdere i bottoni, sgranare le cerniere, aver bisogno di essere stretti, allargati (ove possibile) o modificati.
Chi fa da se fa per 3, ma chi invece deve delegare questo tipo di riparazioni dovrà sostenerne i costi che, seppure non siano in nessun caso proibitivi, diventano inconsciamente respingenti quando superano il prezzo dello stesso capo nuovo, quindi nella maggior parte dei casi per un capo fast fashion, che piuttosto verrà gettato e sostituito con un prodotto nuovo.
Usare la stoffa dei vestiti inutilizzabili in altri modi (riciclo creativo VERO).
Altra faccia dell’ upcycling é quello che spesso viene definito sui social “riciclo creativo”.
Una pratica che peró ha delle sue criticitá sulle quali ci soffermeremo in futuro.
Ora sappiamo tutto quello che possiamo fare per migliorare il nostro approccio al mondo della moda, riappropriandoci del potere della scelta consapevole.
Quali sono le cose che inizierete a fare da subito?