Doverosa premessa per questo tipo di post: le mie riflessioni non sono verità nè hanno la volontà di esserlo. Si tratta di miei personalissimi pensieri e osservazioni che condivido allo scopo di creare un confronto o suscitare vostre ulteriori riflessioni, che potranno arricchire la community o i singoli. Parlo principalmente di me, dei miei percorsi e di cosa ho elaborato in diverse circostanze. Non c’è una volontà di attaccare o denigrare qualcuno personalmente o nel suo operato.
Siamo tutti esseri viventi, anche se a volte sembriamo dimenticarcene. Ma che la nostra via sia strettamente legata al nostro habitat è di sicuro innegabile. Verrebbe spontaneo quindi pensare che l’essere umano debba essere ferocemente legato alla natura da cui dipende e che ne difenda la salute e l’integrità con lo stesso fervore con cui difenderebbe il proprio benessere.
E invece così non è.
La cura e l’attenzione per l’ambiente, nell’immaginario collettivo, sono qualcosa di facilmente relegabile ai libri per la prima infanzia (quelli in cui si insegna ai bambini che il mondo è bello e dobbiamo tenerlo pulito non gettando le cartacce per terra) o a quelle fasce radical chic che iniziano a preoccuparsi dell’ambiente perché il loro posto è talmente tanto al sole da non avere nessun’altra preoccupazione nella vita.
Un problema da ricchi, le cui soluzioni sembrano studiate per quegli stessi ricchi che possono permettersi auto elettriche e t- shirt da 80 euro.
Ci sono poi gli attivisti che si sdraiano sul Raccordo Anulare per bloccare il traffico.
Li guardi e li percepisci come figure mitologiche, metà fannullone e metà complottista. L’unica cosa che ti suscitano è fastidio e disagio… te non sei fannullone, sei uno che lavora sodo per tirare avanti in questa giungla, mica troveresti mai una mattinata da perdere per sdraiarti in strada. E poi tu sei sveglio, cavolo. Mica ti fai ingannare da questo allarmismo studiato a tavolino per fare marketing. O forse no…
Ma perché questi argomenti ci risultano così respingenti? Perché suscitano in noi così tanto risentimento? Proviamo a rifletterci insieme.
Cercare di dare una spiegazione ad ogni tipo di obiezione ha senso ma non è quello che faremo qui, perché oggi voglio analizzare ciò che si cela dietro le obiezioni stesse.
Monitorando da qualche anno il dibattito online ho colto diversi tipi di attori, mossi da diversi tipi di sentimenti:
Scettici e negazionisti. RIFIUTO E NEGAZIONE
Gli indignati. RABBIA
I curiosi e i possibilisti. PATTEGGIAMENTO O CONTRATTAZIONE
Gli ecoansiosi. DEPRESSIONE
Gli attivisti. ACCETTAZIONE
A molti sarà già saltato all’occhio che queste non sono vere e proprie categorie, ma sono piuttosto delle fasi. Nello specifico sono le fasi dell’elaborazione del lutto.
FASE 1: RIFIUTO
“Ma Ginevra, cosa c’entra adesso il lutto? Perché tirare in ballo la psicologia spicciola? Ma soprattutto, di che lutto parli? Chi è morto?”
Noi.
Privati della possibilità di acquistare incondizionatamente ci sentiamo persi e incapaci di affermare noi stessi tramite ciò che possediamo.
Così possono morire le nostre certezze circa i nostri valori oppure la validità del nostro stile di vita consumistico.
Muore il pensiero rassicurante di un futuro uguale al presente, che non necessiti di adeguamenti.
O magari semplicemente il mondo come lo abbiamo conosciuto fino ad ora.
Scegliete voi.
Ma dal momento che inconsciamente percepiamo il problema (e oggi, più che mai, il tema della sostenibilità troneggia ovunque e arriva all’orecchio anche delle persone più disinteressate) qualcosa dentro di noi muore.
Muoiono alcune certezze su cui abbiamo basato la nostra vita, i nostri obiettivi devono essere rivisti.
“Ma è possibile che dopo tutti i miei sforzi devo decostruirmi e ricominciare da capo? NO. è una bufala. Io non ci credo.”
Siamo alla fase 1: Negare il problema o minimizzarlo mi pone nella posizione di non dover affrontare questo cambiamento, di non dover mettere in discussione nulla. è una reazione facile e istintiva, in natura la vediamo in alcuni animali che di fronte al pericolo si immobilizzano e abbassano le proprie funzioni vitali fingendosi morti. Disorientamento e paura non sono sentimenti che ci piacciono, e nella momentanea incapacità di fronteggiarli ci rifugiamo in un metaforico immobilismo.
FASE 2: RABBIA
Questo cambio radicale, controverso e sofferto non è però vissuto come una necessità collettiva, ma come un’imposizione altrui, un ordine che viene “dall’alto”. Quell’alto così lontano da noi e dai nostri problemi veri… questo ci porta inevitabilmente alla fase 2: ci arrabbiamo. Tanto.
La stessa rabbia con cui investiremmo chi ci sveglia a ceffoni durante la fase più pesante del sonno.
“Come ti permetti di disturbare l’equilibrio onirico della mia vita? Di impormi quando devo o non devo svegliarmi?“
Inutile dire che che è in corso un terremoto e dobbiamo scappare.
“Io non ho sentito nessun terremoto. Non vedo crepe o mobili rovesciati, e te mi dici che devo anche cambiare casa e rinunciare alle mie cose? Ma io ti faccio la guerra e te la faccio nel più violento dei modi, perché non ho neanche preso il caffè.”
FASE 3: PATTEGGIAMENTO
Alcuni poi il caffè lo prendono, iniziano a guardarsi intorno e a notare che effettivamente qualcosa non va. Solitamente accade perché il dibattito pubblico si polarizza o perché si trovano a dover affrontare direttamente le conseguenze di quel problema che prima negavano.
Tutto assolutamente normale.
Non si nasce con la consapevolezza in tasca, non è colpa nostra se abbiamo semplicemente seguito gli schemi, senza pensare che fossero dannosi per il pianeta. Ma adesso siamo svegli e lucidi e abbiamo bisogno di capire.
Inizia la fase 3 in cui cerchiamo di riorganizzare la nostra vita, di comprendere come poter fare la differenza. Ci affidiamo ad etichette, blog, libri, creator che possano farci capire cosa fare e allora via libera alle cose naturali, al zero waste, al km 0, al carbon neutral… cerchiamo di “ripulirci” perché adesso guardiamo il mondo con altri occhi, gli stessi di quando eravamo bambini e sfogliavamo il libro che ci parlava della raccolta differenziata.
FASE 4: DEPRESSIONE
Siamo una specie di elfi silvani, protettori della natura… ma intorno a noi questo cambiamento non avviene e mentre consigliamo lo shampoo solido ai familiari e vediamo l’ennesimo documentario sulla fast fashion tutto il brutto che scopriamo inizia a sovrastarci, ad essere troppo, a sembrarci invincibile.
La Cina, Le discariche, i roghi tossici… Il cambiamento climatico è inarrestabile e tu sei solo a sbatterti per fare la differenza, fino quasi a smettere di respirare per non emettere CO2.
Non stai impazzendo, tranquillo. Sei in una fase di eco-ansia. La fase 4 per l’esattezza.
Uscirne non è proprio facile e di tanto in tanto è normale avere delle ricadute.
Quando le acque dell’attacco ecoansioso si ritirano ci lasciano destabilizzati. Quel senso di scoraggiamento può prendere il sopravvento e per una parte delle persone, purtroppo, il percorso finisce qui, nell’affermare che qualsiasi cosa si faccia sarà comunque inutile.
Come posso fare la differenza da solo?
E se non posso farlo che senso ha continuare? Tutte quelle rinunce e quelle preoccupazioni non servono a niente se non sono risolutive.
Come dargli torto…
Ma vorrei che provassimo a ragionare in una maniera meno assolutistica.
Nessun obiettivo può essere raggiunto subito. Nemmeno un obiettivo personale che dipende solo da noi.
Magari vorremmo perdere peso e per farlo abbiamo bisogno di modificare il nostro stile di vita: cambiare il tipo di cibo che assumiamo e la sua quantità, modificare alcune abitudini sbagliate e inserire alcune attività come ad esempio fare sport, o fare alcuni spostamenti a piedi piuttosto che con i mezzi. Questi cambiamenti necessitano di tempo per essere introdotti e per essere metabolizzati.
Potrebbero poi essere necessarie delle modifiche, potrebbero esserci dei piccoli peccati di gola da dover imparare a fronteggiare per compensazione.
Questo ci porterà ad un nuovo equilibrio, e questo equilibrio nel tempo ci farà raggiungere il nostro obiettivo.
FASE 5: ACCETTAZIONE
Ogni cambiamento che dobbiamo affrontare altro non è che l’inizio di un percorso, che per forza di cose avrà delle tappe e che, immancabilmente, sarà pieno di contraddizioni. Ma questo non significa che non ne valga la pena e che non abbia senso solo perché non possiamo avanzare velocemente come vorremmo.
Se non posso allenarmi 2 ore al giorno e perdere peso in 2 mesi allora non mi allenerò neanche 30 minuti al giorno perdendo quel peso in 6 mesi?
Questo tipo di compromesso imprescindibile con noi stessi, unito ad una sana voglia di dialogare con altri che sono nella tua stessa fase o in un’altra, ti porta ad una sorta di accettazione positiva che altro non è che la condizione dell’”attivista”.
Attivista inteso in un’accezione molto ampia, come colui che agisce consapevolmente in virtù di questa idea di mondo migliore, con la sua voglia di condividere anche i piccoli trucchi che possono aiutare gli altri nella transizione da una fase all’altra.
E se tu sei in questa quinta ed ultima fase di elaborazione, ricordati che non tutti gli altri sono nella tua posizione. Impara a riconoscere chi hai davanti e cerca di empatizzare con le emozioni che hanno suscitato le sue reazioni. Dividerci come se fossimo ai due poli diversi di una barricata non ha senso, perché la barricata non esiste e lo scontro non porterà mai ad un dialogo o a farci fare fronte comune per il bene di tutti, ma creerà schieramenti che si daranno battaglia e allora si, che non ci sarà più nulla da fare.